Il Barolo è nato per volere di una donna

Il Barolo, noto come “Re dei vini e il vino dei Re”, è nato nei primi anni del 1800. L’ultima marchesa di Barolo, uno dei comuni piemontesi dove si produce vino, Giulia Colbert Falletti, decise di far produrre il Nebbiolo come vino secco sulla scia di quelli francesi. Si affidò all’enologo Oudart e il risultato superò le aspettative. Il pregiato vino fu battezzato Barolo in omaggio alle tenute della nobildonna.

La storia del vino Barolo, di questo rosso davvero speciale, inizia con il matrimonio di Carlo Tancredi Falletti di Barolo con Juliette Colbert (personaggi di spicco del Risorgimento piemontese e non solo), per quanto la coltivazione della vite, a Barolo e nelle zone circostanti, abbia antiche tradizioni, documentate da preziosi manoscritti.

Le origini di questo vino sono da ricercare nel vitigno da cui deriva: il nebbiolo, prima dell’intervento di grandi protagonisti, dava un vino amabile, assai diverso dall’attuale. Tuttavia, vale la pena ricordare che il particolare territorio di Barolo, in qualche modo protetto dai rilievi circostanti, rende il nebbiolo ricco di sali minerali e zuccheri.
Il successo del cosiddetto “re dei vini e vino dei re” è decretato proprio da Juliette, che lo promuove alla corte dei Savoia e nelle varie corti europee. A tale proposito, si narra che un giorno re Carlo Alberto abbia chiesto alla Marchesa perché non gli avesse fatto ancora assaggiare il celebre vino che veniva prodotto nelle zone del Castello di Barolo, residenza di villeggiatura in campagna per la nobile famiglia. Dopo pochi giorni – scrive Domenico Massè nel suo testo “Il paese di Barolo” – Torino assisté ad un spettacolo inedito: le vie della città furono attraversate da carri della Marchesa contenenti vino, diretti al Palazzo Reale – precisamente trecentoventicinque, uno per ogni giorno dell’anno, tolti i quaranta giorni della Quaresima. In tal modo i Marchesi promuovevano il vino, regalandolo ai regnanti, offrendolo ai loro ospiti e rifornendone gli amici di ogni dove. Essendo personalità in vista e molto apprezzate, il vino Barolo ne trasse un sensibile vantaggio d’immagine. Ma Juliette era davvero interessata a dare un futuro e un prestigio stabile alla qualità del suo vino, per questo sembra che abbia chiesto all’amico Cavour la consulenza dell’enologo francese Oudart, che collaborava dal 1843 con il Conte nella produzione del vino Barolo nelle cantine di Grinzane. E sarà proprio questo personaggio a dare un contributo significativo al Barolo, vinificandolo alla francese. Per quanto si conoscano anche interventi significativi di pochi anni precedenti, soprattutto quello del generale Francesco Staglieno, che si interessò a regolare la fermentazione sul metodo francese Gervais. Questi personaggi furono presenti sia a Verduno, presso il castello del re Carlo Alberto di Savoia, sia a Grinzane Cavour, presso le cantine del conte Camillo Benso di Cavour.
Come detto, il Barolo in precedenza doveva essere un vino dolce e leggermente spumeggiante, rosato. L’uva nebbiolo matura tardivamente ed è possibile ipotizzare che a quei tempi i primi freddi interrompessero la fermentazione. Prima degli interventi di Giulia, la fermentazione avveniva all’esterno nei portici; in seguito, furono realizzate le cantine sottoterra. Creando un microclima protetto, si poté, allora, invecchiare il vino, tenendo sotto controllo la temperatura, rendendolo fermo e di notevole struttura.
Una testimonianza significativa rimane quella dello storico Massè, che dice: “… a creare quel tipo di vino che va ora sotto il titolo di Barolo furono i Marchesi Falletti al principio dell’Ottocento, i quali lo producevano con ogni cura nelle loro estesissime tenute di Barolo…”. Precisando poi che “chi, dopo i Marchesi Falletti molto contribuì a dare fama al Barolo… fu il Conte Camillo di Cavour”. Queste preziose iniziative portano ad un vino secco e a passaggi in botti prima dell’imbottigliamento. Nell’iter di affermazione della completa identità del Barolo, si riscontra un’altra testimonianza. Si tratta di quella del conte Giorgio Gallesio, che narra nel suo “I giornali di viaggi” la sua visita a Barolo, avvenuta il 19 settembre 1834. Il conte descrive il fervente lavoro attorno al perfezionamento di questo vino e quanto Giulia e Tancredi credessero ed investissero in tale impegno: “Le uve in Barolo sono il Nebbiolo e il Neiran: con queste due uve si fa il famoso vino di Barolo, nel quale però il Neiran non v’entra che per un decimo. […] Il vino di Barolo dura molti anni e il marchese di Barolo lo conserva per mandarlo alla Corte di Torino e ad altri. In questo paese si crede che per avere del vino finissimo bisogna farlo di Nebbiolo puro, oppure si mischia il Neiran perché gli dia colore, essendo il Nebbiolo puro troppo chiaro e troppo dolce. Ho visitato la cantina del marchese di Barolo: è un gran semi-sotterraneo con volte a botte, sopra del quale vi è la tinaia. Vi erano 30 botti, in gran parte di vini vecchi: ho assaggiato quello del 1833 ed era aspro e ingrato; quello del 1832 era invece morbido e amabile”.
Dopo la morte di Giulia, l’intero patrimonio, cantine comprese, fu ereditato dall’Opera Pia Barolo, istituzione da lei voluta per amministrare le ingenti fortune della famiglia e le varie iniziative ed attività a cui i marchesi avevano dato vita. Oggi nell’Agenzia della Tenuta Opera Pia Barolo, prospiciente il Castello Falletti di Barolo, ha sede l’azienda Marchesi di Barolo, una cantina di medie dimensioni: controlla circa 110 ettari di vigneto, per una produzione di circa 1.500.000 bottiglie circa. Fu Pietro Abbona che, attorno al 1895, iniziò la sua attività nelle cantine Barolo, riuscendo successivamente ad acquistare le cantine e parte dei vigneti e potendo così dare continuità al marchio “Antichi poderi dei marchesi di Barolo”.